27 Gennaio 2012, giorno della Memoria e della riflessione

Se questo è un uomo- Primo Levi

Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per un pezzo di pane
che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come un rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa e andando per la via,
quando vi coricate e quando vi alzate
ripetetele ai vostri figli.

Parziale rielaborazione di una lettera ad un amico......ti ringrazio, inoltre, per avermi ricordato ( in verità la commemorazione non era affatto sfuggita alla mia attenzione e al mio profondo rispetto) che il 27 gennaio è stato il giorno della memoria: una tragedia che ha lasciato una macchia incancellabile nella coscienza dell’intera umanità. Una macchia fatta di umiliazioni senza fine e senza alcuna ragione.
Quando ho visitato il campo di concentramento di Dachau, mi sono reso conto perfettamente di quale follia si sia consumata sulla pelle di persone inermi, la cui unica colpa era di essere ebrei. A ricordo di tali drammatici eventi, possiamo fare una sola cosa: abbassare il capo e chiedere perdono, tutti, anche quelli che, come me, hanno avuto la fortuna di nascere in un periodo successivo.
Ma la vita continua e, purtroppo, gli uomini, spesso, da tali tragedie non sono capaci di trarre i giusti insegnamenti.
È una affermazione molto amara, ma da me te la devi aspettare. Da uno che scrive nella sua home page “io, che amo la libertà e odio le ingiustizie e le sopraffazioni”, ti devi aspettare quanto segue:
se ho subito una sopraffazione (e che sopraffazione!), e se sono un vero uomo,  devo avere la fierezza, ripeto, l’assoluta fierezza di non risponde ad una sopraffazione con un’altra sopraffazione, questa volta perpetrata da me a danno di altri.
Se lo faccio, prima di tutto non sono un vero uomo, secondo, tale esperienza mi ha insegnato poco o niente, terzo, legittimo in qualche maniera l’autore del sopruso nei miei confronti.
In nome di un mio Dio, che evidentemente considero superiore a quello di un altro, non posso dire: quella è la mia terra, quella è la mia casa, e tu, che sei lì da mille anni, te ne devi andare, ti devi trovare in fretta un altro alloggio in un’altra terra, oppure ti devi confinare in uno spazio di 360 chilometri quadrati (tale è la superficie della striscia di Gaza). Non lo posso e non lo devo fare.

E se anche avessi una minima giustificazione, data l'immane tragedia che ha colpito il mio popolo, devo fare il possibile e l'impossibile per venire incontro alle giuste aspettative di chi ha subito una ingiustizia.
E' un obbligo morale.

E invece no, intransigenza, pugno di ferro, reazioni assolutamente sproporzionate ad azioni che, seppure da condannare, hanno il segno inconfondibile del disagio e della disperazione, per una situazione che non mostra vie d'uscita.

E invece no, decisioni incomprensibili come, ad esempio, la creazione di insediamenti umani all'interno del poco spazio che gli è rimasto, difesi magari da uomini armati: se mi arrogo il diritto di farlo, alle mie spalle e sopra la mia testa aleggieranno i fantasmi degli aguzzini di Dachau, Auschwitz ed altri luoghi simili. E, se sono un vero uomo, come faccio a dormire tranquillo quando il sole scompare dalla mia vista, sapendo bene che dopo poche ore, al mattino, mi ritroverò con il fucile ancora in mano a difendere una causa ingiusta? E dopo sessant’anni che succede sempre la stessa cosa?

Questo non è solo il mio pensiero, ma anche quello, sostanziale (non poteva certo utilizzare le stesse mie parole!) di David Ben Gurion, fondatore dello Stato d'Israele, contenuto in una lettera indirizzata ad un amico: “perché gli arabi dovrebbero fare la pace? Se fossi un dirigente arabo non firmerei mai la pace con Israele. È normale: abbiamo preso il loro Paese. Certo, Dio ce lo aveva promesso, ma in cosa li può interessare ciò? Il nostro Dio non è il loro. È vero che siamo originari di Israele (non autoctoni, aggiungo io), ma la cosa risale a duemila anni fa. In che cosa li riguarda? Ci sono stati l’antisemitismo, i nazisti, Hitler, Aschwitz, ma è stata colpa loro? Loro vedono solo una cosa: siamo venuti e abbiamo rubato il loro Paese. Perché dovrebbero accettare questo?”

Ed oggi, 8 febbraio 2012, giorno di pubblicazione della mia lettera, mi chiedo: « Le affermazioni di Ben Gurion sono ancora attuali quando scrive: "perché gli arabi dovrebbero fare la pace"?» In sostanza, sono i Palestinesi che non vogliono la pace o gli Israeliani? E' una domanda legittima da porsi. E non è un caso che l'Onorevole Massimo d'Alema, nella sua recente visita in Terra Santa, si sia così rivolto ai leaders Israeliani: "Israele faccia una proposta di pace ai Palestinesi".

Ed io, nel mio piccolo, ribadisco: Israele faccia una seria proposta di pace ai Palestinesi, e lo faccia al più presto! Lo faccia in nome dei suoi milioni di morti, lo faccia in nome dei giovani figli d'Israele. Non solo gliene saranno grati i Palestinesi, ma il mondo intero.

La lettera si conclude così: scusa se traspare una certa violenza dalle mie parole, ma per me, per il mio modo di essere, certe cose sono assolutamente insopportabili, mi procurano dolore nel petto.
E, credimi, sarebbero state insopportabili - e ancor di più - anche se avessi avuto la sventura di nascere una trentina di anni prima, giusto il tempo necessario per prendere pieno possesso della mia ragione.
Un caro saluto.
Claudio